Casi umani di SOPRAVVIVENZA ESTREMA

Quanto tempo può sopravvivere una persona in condizioni sfavorevoli?
Non si può dare una risposta generale a questa domanda.  Si può rispondere semplicemente dicendo: “dipende“.
Esistono persone che sono riuscite a salvarsi superando le situazioni più disperate; altre invece che sono morte dopo pochi giorni, quando ancora non si può parlare di morte per sete o per fame.
Ritrovarsi in un ambiente ostile a causa di un incidente navale aereo, essere vittime di un disastro naturale o artificiale, perdersi in montagna, rimanere bloccati con l’auto nel deserto sono alcune delle situazioni in cui tutti possiamo incappare, a maggior ragione se vi piace viaggiare ed esplorare.

In una situazione sfavorevole, anche se non molto grave, possiamo provare paura (paura di morire, di non farcela, di non essere cercati, di morire di sete o di fame…). Avere paura è normale l’importante è mantenerla sotto controllo in modo che non si trasformi in panico.

Alla base della sopravvivenza c’è la volontà, la determinazione e la tenacia di vivere. Un impatto psicologico positivo e ottimista darà un aiuto grandissimo in una situazione avversa, più di un bicchiere d’acqua e di un pasto caldo.

Significato di Volontà:
Facoltà di volere; capacità di decidere e agire in modo da raggiungere il proprio scopo.
Atto del volere, ciò che qualcuno vuole.
Disposizione ad agire in un certo modo; voglia, propensione, disposizione, impegno a far bene.


Mai rinunciare alla lotta, mai pensare di avere fatto tutto il possibile, mai arrendersi, pensare sempre positivo. Molto spesso non è lo sfinimento fisico che fa cedere un uomo ma è quello psichico, cioè la certezza di non farcela o di non essere all’altezza. Bisogna tenere duro, avere speranza di incontrare qualcuno che ci tratti in salvo e avere fiducia nelle squadre di soccorso. Nel frattempo le nostre priorità dovranno essere fuoco, riparo, segnalazione, acqua e cibo.

STORIE DI SOPRAVVISSUTI

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Sicuramente uno dei più famosi è il DISASTRO AEREO DELLE ANDE:

 

Il 13 ottobre del 1972 avvenne la drammatica sciagura aerea sulla cordigliera delle Ande, che impressionò e sconvolse il mondo intero: un velivolo che trasportava 45 persone si schiantò a 3657 metri d’altezza contro un vulcano. 12 morirono nell’impatto, 5 il giorno stesso e 1 il secondo giorno. Dopo circa 70 giorni vennero ritrovati e tratti in salvo. Solo 16 persone scamparono alla morte, il gruppo confessò che per sopravvivere si cibò dei cadaveri dei loro compagni.

L’INCIDENTE:
Il volo trasportava una squadra rugby uruguaiana con i rispettivi allenatori, parenti e amici.
La nebbia fitta e le perturbazioni sulle Ande costrinsero l’aereo ad atterrare in serata all’aeroporto di Mendoza, in Argentina, e obbligò i passeggeri a ripartire il giorno successivo. Il 13 ottobre l’aereo decollò, ma un errore di volo sulla rotta fece finire l’aereo in mezzo alla Cordigliera. Quando le nuvole si diradarono l’equipaggio si rese conto di essere vicinissimo alle vette delle montagne, il pilota tentò velocemente di rialzare l’aereo ma l’ala destra dell’aereo colpì la cima di una montagna a circa 4200 metri di quota.
L’ala tranciò di netto la coda dell’aereo uccidendo alcuni passeggeri, poi l’aereo colpi un’altra sporgenza rocciosa che tranciò anche l’ala sinistra.
Fortunatamente l’aereo cadde parallelo su un ripido pendio e scivolò lungo di esso per circa due chilometri, diminuendo gradualmente la sua velocità fino a fermarsi nella neve con un violento impatto.
Nell’impatto morirono in 12. Alcuni dei sopravvissuti avevano gambe e braccia rotte e nessuno aveva abiti adatti per resistere al freddo delle Ande. Altri 5 ne morirono entro la giornata e uno morì il giorno successivo.


Fu incredibile quanto accadde: Fernando Parrado creduto morto, venne lasciato per tutta la notte all’aperto per poi scoprire il giorno dopo che era ancora vivo.

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CIBO E ACQUA:

Durante i primi giorni i sopravvissuti consumarono cioccolato, caramelle e biscotti che erano presenti a bordo dell’aereo e si dissetarono succhiando direttamente la neve. Dopo essersi accorti  che questo provocava disturbi intestinali, l’acqua venne ricavata lasciandola sciogliere in lamiere di alluminio per incanalare il calore del sole. Quando le scorte di cibo finirono i sopravvissuti furono costretti dalle circostanze a cibarsi dei cadaveri dei loro compagni morti, che avevano seppellito nella neve vicino all’aereo.

LA VALANGA:
Altri otto dei sopravvissuti morirono la notte del 29 ottobre, quando una valanga travolse la carcassa dell’aereo nella quale dormiva il gruppo.

LA MARCIA:
Il 12 dicembre 1972: Parrado, Canessa e Vizintin iniziarono il loro viaggio per  raggiungere il Cile a piedi e chiedere soccorsi.
Vizintin però dovette ritornare alla carcassa dell’aereo poiché i viveri che si erano portati bastavano solo per due persone.
Dopo dieci giorni di marcia i due sopravvissuti incontrarono dei mandriani che li sfamarono con pagnotte di pane e li aiutarono a chiamare i soccorsi.
Lo stesso giorno partì una spedizione di soccorso con due elicotteri. Parrado salì sull’elicottero dei soccorritori per dirigerli fino al punto in cui si trovava la carcassa dell’aereo. Tutti e 16 superstiti vennero salvati e condotti in ospedale con sintomi di insufficienza respiratoria da alta montagna, disidratazione, traumi e malnutrizione, ma sicuramente stavano meglio di quanto si sarebbe potuto prevedere, nonostante alcuni avessero perso fino a 40 kg.

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FILM:
Nel 1993 Frank Wilson Marshall girò una pellicola cinematografica intitolata Alive – Sopravvissuti, basata sui racconti dei supersiti del disastro aereo delle Ande. Esiste anche un altro film del 1976: I sopravvissuti delle Ande di René Cardona.

LIBRI:
Sopravvivere! L’incredibile storia di sedici giovani rimasti isolati sulle Ande per settanta giorni
di Clay Blair Jr (Sugar Editore – 1973).

Settantadue giorni. La vera storia dei sopravvissuti delle Ande e la mia lotta per tornare di Fernando Parrado e Rause Vince (Piemme – 2006).

CURIOSITA‘:
Nel 2008 , Roberto Canessa è stato ospite al programma “Il senso della vita” di Paolo Bonolis.

LA ZATTERA DELLA MEDUSA:

Un altro clamoroso caso di cannibalismo che sconvolse la stampa avvenne il 2 luglio del 1816.
La Méduse
(una fregata della marina francese) si incagliò su un banco di sabbia nelle vicinanze delle coste senegalesi (a circa 160 Km dalla Mauritania).
Il comandante De Chaumaray, cosciente che non sarebbero arrivati i soccorsi, imbarcò i passeggeri più importanti sulle scialuppe di salvataggio mentre il restante equipaggio, i sottufficiali e il medico di bordo (per un totale di 152 persone) li mise a bordo di una zattera di circa 20x10m.
I superstiti sulle scialuppe iniziarono il viaggio verso la costa africana mentre la zattera fu abbandonata al suo destino, in attesa di improbabili soccorsi.

Venti morirono o si suicidarono il primo giorno, quasi la metà cadde in mare in seguito a liti. Verso il decimo giorno i 25 rimasti si diedero al cannibalismo.
Il 17 luglio, dopo 13 giorni sulla zattera, i naufraghi vengono salvati dal battello Argus.
Su circa 152 ne erano rimasti in vita solamente 15, di cui altri cinque morirono la notte seguente.
Nel 1817 il comandante de Chaumaray per la vicenda venne condannato a soli tre anni di prigione.

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La vicenda ispirò il pittore romantico francese Théodore Géricault che nel 1819 dipinse il famosissimo quadro La zattera della Medusa (lo si può vedere al Musée du Louvre di Parigi).

UNA TERRIBILE STORIA DI CANNIBALISMO:

Nel 1820 la Baleniera Essex di Nantucket, dopo una pesca magra, decise di spingersi al largo dell’Oceano Pacifico verso rotte inesplorate in cerca di fortuna.

L’equipaggio avvistò alcuni capodogli, così si mise subito all’inseguimento finendo in mezzo a un branco di balene.
Un enorme esemplare maschio di capodoglio prese di mira la Essex. La nave sotto i pesanti colpi affondò e parte dei marinai si salvò sulle scialuppe.
Rimasero in venti. I superstiti riuscirono a recuperare viveri e acqua che però finirono dopo una settimana.
I naufraghi fortunatamente raggiunsero un’isola deserta ricca di frutta e di acqua, che venne completamente saccheggiata.
Parte del gruppo decise di ripartire, mentre tre naufraghi rimasero sull’isola in attesa di soccorsi.
Nelle acque del Pacifico, la zattera andò alla deriva e gli uomini cominciarono a morire di sete e fame, così si spinsero al cannibalismo.
Purtroppo della terraferma nessuna traccia, ed erano passati 78 giorni dalla sciagura.
A questo punto esaurita la carne umana decisero che l’unico modo per sopravvivere era di uccidere un compagno, estratto a sorte, e di mangiarne il corpo.
Con grandi rimorsi da parte di tutti, il gruppo attuò tale stratagemma.
Finalmente a 650 km dalle coste del Cile, un cargo salvò i sopravvissuti, erano rimasti in due: il capitano e un marinaio.

Tale storia ispirò lo scrittore newyorkese Herman Melville per il suo celebre libro: Moby Dick.

 

SOPRAVVISSUTI SU UN’ISOLA DESERTA:

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Nell’oceano Pacifico uno yacht su cui viaggiava una famiglia si ribaltò a causa di una grossa ondata. Dopo la morte dei loro genitori tre ragazzi riuscirono a sopravvivere rimanendo attaccati allo scafo per una settimana. Dopodiché  decisero di nuotare in acque dominate dagli squali per raggiungere un’isola deserta a circa 8km di distanza. Dopo circa 7 giorni di permanenza nell’isola furono salvati, i ragazzi avevano bevuto acqua piovana e si erano cibati di bacche.

LA STORIA DI AMBROGIO FOGAR:

Il 19 gennaio 1978 il navigatore, scrittore ed esploratore milanese Ambrogio Antonio Fogar (1941-2005) fu vittima di un incedente che lo costrinse a una situazione di sopravvivenza estrema.

Al largo delle isole Falkland a Sud dell’Oceano Atlantico, l’imbarcazione (Surprise) su cui si trovava a bordo venne attaccata da un branco di orche e affondò velocemente.
Con lui c’era il suo amico e compagno di viaggio, il giornalista Mauro Mancini.

I due riuscirono a portare con loro, sulla zattera di salvataggio, solo un po’ di zucchero e un pezzo di pancetta. Si dissetarono con acqua piovana.
Dopo 74 giorni alla deriva vengono finalmente individuati da un cargo e recuperati.
I due erano in gravissime condizioni e dopo due giorni Mauro Mancini tragicamente e assurdamente morì. Fogar riuscì a sopravvivere, ma quest’esperienza lo segnò profondamente.

Nonostante la disavventura di cui fu vittima non smise mai di salire sulla sua barca e di salpare per i mari.
Ambrogio Fogar era il padre Francesca Fogar (scrittrice, giornalista, conduttrice e grande sportiva).

SOPRAVVISSUTA DA GUINNESS:

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Un incredibile storia di sopravvivenza estrema è accaduta alla hostess serba Vesna Vulovic il 26 gennaio 1972.
La donna è precipitata al suolo da un’altezza di 10 mila metri senza paracadute dopo che l’aereo è esploso in aria a causa di una bomba piazzata da dei terroristi nazionalisti croati.
Nonostante le pesanti lesioni riportate, la donna che all’epoca aveva 22 anni, si riprese dopo quasi un mese di coma e oggi gode di ottima salute.
In quel volo maledetto morirono 27 persone. La donna serba entrò nel guinness dei primati come la persona che fece la caduta più alta senza paracadute.

RMS TITANIC:

Tutti ricorderanno la storia della nave Titanic, una delle più grandi sciagure della navigazione civile.
Durante il suo primo viaggio di inaugurazione il Titanic ebbe un impatto disastroso contro un iceberg alle ore 23:40 della domenica del 14 aprile 1912.

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Il transatlantico affondò in meno di 3 ore.
Sulle 2228 persone presenti sulla nave ne morirono 1523.
Solo 705 furono tratte in salvo.

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Ispirato da questa vicenda il regista canadese James Cameron nel 1997 girò la pellicola Titanic con Leonardo di Caprio e Kate Winslet. Il film fu un vero colossal vinse moltissimi premi in tutto il mondo e ben 11 premi Oscar, inoltre il film detenne il record come maggiore incasso della storia del cinema fino al 2009 quando venne superato da Avatar; tra l’altro sempre girato dallo stesso Cameron.

tratto da :blog.sopravvivenza.it

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