FILM CHE HANNO COME TEMA LA SOPRAVVIVENZA
Lista Film A Tema Sopravvivenza
(una delle più celebri pellicole basate sul tema della sopravvivenza estrema; con il grande Tom Hanks)
Alive – Sopravvissuti
(basato sul famoso incidente aereo avvenuto sulla Cordigliera delle Ande nel 1972)
I sopravvissuti delle Ande (film del 1976)
127 ore
(Si basa sulla storia vera di un alpinista che nel 2003 rimase intrappolato sulle montagne dello Utah)
Vertical Limit (2000)
Open Water
(2003 – Basato su una storia vera)
L’isola dei sopravvissuti
(con Billy Zane e la stupenda Kelly Brook)
L’urlo dell’odio (con il celebre Anthony Hopkins)
Into the Wild – Nelle terre selvagge (2007)
Le avventure di Robinson Crusoe
Robinson Crusoe – La storia vera (1989)
Robinson Crusoe (1997)
Laguna blu
Ritorno alla laguna blu
Incantesimo nei mari del sud
Alla deriva – Adrift (2003 – Basato su una storia vera, seguito di Open Water)
Gerry (di Gus Van Sant)
La foresta di smeraldo
Balla coi lupi
Sopravvivere coi lupi
Frozen
The Beach (con Leonardo DiCaprio)
Discesa nelle tenebre
The Canyon
Whiteout – Incubo bianco
Anaconda
Io sono leggenda
(sopravvivenza post-apocalittica)
Codice Genesi
(sopravvivenza post-apocalittica)
The Road
(con Viggo Mortensen – sopravvivenza post-apocalittica)
Lost (serie televisiva)
Man vs. Wild (Serie TV)
Austin Stevens Adventures (Documentario)
Film ITALIANI di sopravvivenza
Noi uomini duri (Con Pozzetto e Montesano)
“Mi chiamo Mario e faccio il pilota. Civile? E che cio la faccia da selvaggio!”
Naufragio nel pacifico
Travolti dal destino (con Madonna)
Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto
Se ne conoscete altri non esitate ad aggiungerli nei commenti:)
L’UOMO CHE HA PIANTATO UN’INTERA FORESTA IN 30 ANNI: HA CREATO UN ECOSISTEMA
LA STORIA La storia di Payeng è cominciata nel 1979, quando l’indiano aveva poco più di 16 anni. Violente inondazioni avevano trasformato la spiaggia di Brahmaputra in un luogo deserto e senza vita. Su questa striscia di sabbia, dopo che le acque si erano ritirate, il giovane pensò che i serpenti che aveva ritrovato erano morti a causa della calura, non avendo nessun albero sotto cui ripararsi. Quel tremendo spettacolo fu per lui la svolta della vita. Dopo aver contattato il Dipartimento delle foreste del governo indiano e dopo aver ricevuto da questi un no convinto alla richiesta di aiutarlo a piantare alberi in questa zona, Payeng ha deciso di fare da solo. Ha cominciato a coltivare bambù, trasformando la lingua di sabbia arida in un rigoglioso boschetto che col tempo si è andato espandendo sempre di più. Il tutto però a un prezzo. Payeng vive in un completo isolamento e non parla con nessun essere umano. A fargli compagnia solo le sue piante.
IL FASCINO DELL’ESCURSIONE IN SOLITARIA:CONSIGLI UTILI
Premessa:
Questo articolo si appoggia sugli articoli già presenti nel manuale riguardo al trekking ed è destinato a chi già abbia esperienza di escursioni e pernotto all’aperto lontano dalla civiltà. Chi fosse interessato all’argomento ma non avesse i requisiti di cui sopra è invitato a compiere prima escursioni con gente esperta in modo da acquisire la giusta confidenza con l’ambiente e le nozioni necessarie per potersi muovere in sicurezza.
Difficoltà e Pericoli:
Nelle escursioni in solitaria non ci sono difficoltà oggettive maggiori rispetto alle uscite in coppia o in gruppo se si escludono i passaggi in cui potrebbe essere utile una corda per assicurare la progressione.
Il pericolo più importante per l’escursionista solitario sono gli infortuni, non che ci sia un maggiore rischio di ferirsi nell’ ”andare da soli”, è che senza una compagnia, ci si può facilmente trovare nella situazione di non poter essere soccorsi in tempi utili. E’ essenziale evitare ogni pericolo che possa portare al ferimento e lasciare sempre detto l’itinerario che si intende compiere e … rispettarlo.
L’altro problema in cui ci si può imbattere è quello di smarrirsi: anche in questo caso non ritengo che sia più facile perdere il sentiero quando si è soli: in gruppo, soprattutto se non c’è un “capo escursione” riconosciuto che faccia da guida, è possibile che, discorrendo o confidando che il/i compagno/i stiano memorizzando il percorso, può succedere che nessuno si preoccupi di controllare la via. Però mentre in gruppo è possibile perlustrare una zona a distanza di voce dal punto in cui ci si è persi fino ad un posto noto, questo da soli non si può fare e spesso la ricerca frettolosa della via può portare ad uno smarrimento più profondo, e con quello fisico anche a quello psicologico. Anche in questo caso la soluzione sta nel dire a chi aspetta a casa il programma dell’escursione e nella prevenzione: controllare spesso la posizione, guardare il sentiero nel senso opposto per avere un differente punto di vista, fare attenzione ad ogni incrocio di sentiero che spesso non si notano in un senso ma risultano molto evidenti in quello contrario.
Il fattore psicologico:
Il fattore psicologico è estremamente importante: l’essere umano in generale, chi più chi meno, non è a suo agio da solo. Spesso, nella civiltà, anche chi ama starsene in disparte non si rende conto che inconsciamente lui sa di non essere realmente solo e questo potrebbe portarlo a progettare prematuramente esperienze per cui non è ancora pronto, magari può esserlo fisicamente e tecnicamente, può avere l’equipaggiamento idoneo ma, senza una mente preparata, può andare incontro a problemi che possono andare dalla semplice escursione non pienamente apprezzata all’attacco di panico con tutto ciò che ne può conseguire. In questo caso si può facilmente evitare il problema imparando a conoscersi procedendo per gradi.
Come iniziare:
E’ sempre consigliabile, a chi intenda iniziare a fare escursioni in solitaria, cominciare con itinerari semplici, conosciuti, con tempo favorevole e che si possano compiere comodamente in poche ore per poi progressivamente aumentare i tempi di percorrenza e le difficoltà, ricordandosi di lasciare sempre detto il programma a familiari o amici.
Equipaggiamento:
Come già detto l’attrezzatura dell’escursionista solitario non ha sostanziali differenze rispetto a quella di chi esce in gruppo ma è ancora più importante per chi va da solo avere con se un kit d’emergenza che consideri un’eventuale notte all’addiaccio: costruire un riparo con metodi naturali (ammesso che lo si sappia fare) per 4 persone o per 1 sola persona non è molto differente in termini di tempo e fatica, solo che nel primo caso tempo e fatica saranno divisi per quattro, nel secondo NO! E lo stesso vale se si vuole accendere un fuoco.
La notte:
La notte da soli nella Natura è paradossalmente il momento più sicuro dell’escursione in solitaria e al contempo quello che più intimorisce il neofita: se il bivacco è stato preparato correttamente, non cambia assolutamente nulla, ai fini della sicurezza, passarlo da soli o in compagnia ma (soprattutto se come riparo si scegliesse amaca e tarp o bivybag che offrono un’esposizione maggiore rispetto alla tenda) è anche il momento in cui l’Uomo è maggiormente spaesato: un animale sociale e diurno al buio da solo. Ad accentuare queste paure c’è il fatto che di notte nel bosco entrano in attività numerosi animali, ognuno con il proprio verso ed il proprio fruscio e che, con l’oscurità e la vista azzerata, l’udito verrà assillato da suoni sconosciuti che il cervello registrerà come potenzialmente pericolosi.
Qualcuno consiglia di portarsi della musica per distrarsi, ma per me è preferibile abituarsi fin da subito alla vita notturna della Natura: la radio, oltre a rendere più invadente la nostra presenza, ci priverebbe di esperienze che con il tempo impareremmo ad apprezzare; tutt’al più la si può portare come precauzione da usare solo se lo stress diventasse eccessivo. Ricordarsi sempre di dormire con la torcia a portata di mano che oltre ad essere utile per qualsiasi bisogno, può aiutare ad allentare la tensione.
Mi sento di sconsigliare invece di tenere il coltello troppo vicino come aiuto psicologico perché chi riuscisse a trascorrere la notte senza agitarsi non ne avrebbe bisogno, mentre chi fosse troppo spaventato potrebbe rischiare di ferirsi inutilmente da solo.
Basilico: i mille modi per usarlo
Le incredibili proprietà officinali del basilico
Repellente per zanzare, Capelli lucidi, Tonico naturale: il basilico!
Non manca mai nelle nostre ricette, il suo profumo è inconfondibile e nasconde infinite proprietà per il nostro benessere. Stiamo parlando del basilico, una delle piante aromatiche più usate in cucina, ma pochi sono a conoscenza dei benefici portati da essa.
Grazie all’eugenolo, la sostanza che dona il caratteristico profumo alla pianta, il basilico assume un’importante funzione depurativa e antinfiammatoria.
Oggi vi proponiamo una guida ai mille modi di usare il basilico: dal repellente per le zanzare all’alito fresco, passando all’infuso per migliorare la digestione.
Il Basilico: Repellente per zanzare e mosche
Sembra che il basilico sia un ottimo rimedio per tenere lontano mosche e zanzare, basterà posizionare delle piantine sul vostro balcone.
Il profumo emanato dal basilico allontanerà questi insetti, per questo se siete bersaglio di punture di zanzare vi consigliamo di strofinare alcune foglioline sulla vostra pelle che sostituiranno al meglio tutti quei dannosi repellenti chimici spesso usati anche per i più piccoli.
Alito fresco e profumato con il basilico
Procedete con il mettere in un pentolino, in cui avrete già versato mezzo litro d’acqua, 50 gr di foglie di basilico secche e 100 gr di foglie fresche. Fate bollire il tutto per 10 minuti, una volta filtrato il liquido sarà pronto per essere usato come colluttorio contro l’alitosi.
Il colluttorio fai da te può essere usato anche in caso di mal di gola, viste le sue ottime proprietà antinfiammatorie.
Digerire meglio con il basilico
Siete reduci da una mangiata colossale e adesso avete problemi con la digestione? Un infuso al basilico vi aiuterà in poco tempo a togliervi quel peso sullo stomaco, iniziate con il mettere 4 foglie di basilico sminuzzato in un litro d’acqua calda, aggiunte un cucchiaino di camomilla essiccata (potete usare anche quella nelle bustine) e un cucchiaio di menta.
Procedete con il portare ad ebollizione il tutto per un paio di minuti, a seguire filtrate per bene l’infuso e provate a berlo per 4 volte al giorno. Con un questo rimedio riuscirete a combattere l’acidità di stomaco e digerirete anche i sassi!
Se non siete amanti di infuso e tisane potete usare il basilico anche per preparare un buon digestivo. Con poche semplici mosse avrete un liquore da gustare dopo cena, lasciate macerare 40 grammi di foglie fresche di basilico in 50 grammi di alcool neutro a 96° e mescolate frequentemente.
Dopo 6 giorni, filtrate il preparato e aggiungete circa un litro di buon vino bianco secco. Conservate in frigorifero il liquore per servirlo ai vostri amici…sarà un successo!
Mai più cattivi odori dal freezer
Procedete con il versare all’interno di una pentola d’acciaio (che entri nel freezer) dell’acqua calda e dell’aceto. Portate il tutto al massimo punto di ebollizione e riponete la pentola all’interno del freezer.
Lasciate la pentola per qualche giorno nel vano, in modo che l’aceto evaporando all’interno del freezer ripulisca l’odore dello stesso, ma il tocco che permetterà al freezer di acquistare un buon odore è quello di mettere al suo interno una fogliolina di basilico che donerà una gradevole profumazione a tutta la cucina.
Capelli lucidi e splendenti con il basilico
Con la bella stagione i nostri capelli perdono spesso la loro lucentezza, diventando opachi e spenti. Il basilico rappresenta un ottimo rimedio naturale per donare nuovo benessere ai capelli, provate con un decotto naturale subito dopo lo shampoo.
La ricetta per il decotto è semplice: mettete una manciata di foglie di basilico in un pentolino di acqua fredda. Fate bollire per 5 minuti e una volta tiepido filtrate il tutto e distribuitelo sui capelli ancora umidi dopo lo shampoo. Ricordatevi di non sciacquare. In poco tempo i vostri capelli torneranno lucidi e splendenti.
Basilico per prevenire i dolori articolari
Avete mai sentito parlare del eugenolo? Si tratta della sostanza che dona il caratteristico profumo al basilico, questa sostanza racchiude anche un’altra importante proprietà quella antinfiammatoria aiutandoci così a combattere i dolori alle articolazioni.
Secondo recenti studi mangiando ogni giorno piccole quantità di basilico, questa piantina aromatica è presente in molte ricette, riduce il rischio di dolori articolari sino al 73%, inoltre rispetto ai comuni antinfiammatori preserva dai bruciori di stomaco.
Tonico naturale al basilico
Per una pelle perfetta ed idratata è importante una pulizia costante, un prodotto naturale che può aiutarvi in queste operazioni è il basilico. Preparando un’acqua distillata al basilico avrete un tonico naturale sempre a portata di mano, vi basterà lasciare alcune foglie di basilico a macerare una notte in 100 ml di acqua distillata.
La mattina seguente filtrate il tutto e versatene qualche goccia su un batuffolo di cotone da passare sul viso. Conservate il resto del tonico in un flacone.
Se volete una maschera da applicare per una pulizia più profonda, frullate in un pentolino un pomodoro e tre foglie di basilico unite il tutto con due cucchiai di olio d’oliva e due di argilla. Miscelate per bene tutti gli ingredienti sino ad ottenere un composto omogeneo e compatto. Applicate la maschera sul viso e tenetela in posa per circa venti minuti.
Ricetta del Martini fatto in casa: dalle erbe alla tavola!
Il Vermouth, la storica bevanda da aperitivo che chiamiamo più familiarmente Martini Bianco è facilmente autoproducibile in casa propria: ecco una ricetta che parte dai campi per arrivare direttamente sulle nostre tavole.
Come fare il vermut
fatto in casa
Quante volte la vostra nonna, zia o mamma vi ha offerto un bicchierino di Vermut?
Liquore delle famiglie italiane, inventato da un italiano e conosciuto con il nome di Martini Bianco, il vermut è un liquore dolce e storico e, come tutti i liquori, la sua base è un’erba, l’Artemisia Vulgaris.
Nel tempo però l’industrializzazione dei prodotti ha fatto si che l’aura benefica e medicinale del liquore originario si sia persa cedendo il passo ad ingredienti di sintesi, zuccheri e sciroppi contenuti nell’attuale liquore commerciale in vendita in tutti i supermercati italiani.
Il vermouth italiano per eccellenza è il Martini Bianco ed oggi si può acquistare a prezzi che oscillano intorno ai 10 euro a bottiglia.
In questo articolo impareremo come fare il Vermut Martini bianco fatto in casa
spendendo circa due euro ed ottenendo un prodotto totalmente che contiene tutte le qualità medicinali e nutritive del vermouth originale!
ingredienti del Martini bianco fatto in casa
Foglie di Artemisia Vulgaris (possiamo cercarle nei campi, sono gratis!)
1 litro di vino rosso del contadino: circa 1,5 euro
1 bicchiere di grappa di qualità medio-alta: circa 0,80 centesimi
1 bicchiere di zucchero che tutti abbiamo in casa
1 stella di anice: 0,10 centesimi
Totale: 2,40 euro
Raccogliere erbe può essere molto pericoloso se non si sa cosa si sta raccogliendo:
fate riferimento a questa guida per riconoscere l’Artemisia Vulgaris. Se avete qualunque tipo di dubbio in merito alle erbe raccolte…semplicemente non raccoglietele
E allora vediamo insieme la ricetta dell’aperitivo nazionale per eccellenza.
1) Mettiamo il vino in una pentola o in un catino che possiamo chiudere ad aggiungiamo le foglie di Artemisia Vulgaris. Chiudiamo il contenitore e lasciamo a macerare per 5 giorni.
2) Passato il tempo necessario, recuperiamo il catino e filtriamo il vino in un nuovo catino.
Aggiungiamo al vino appena filtrato sia il bicchierino di grappa, che lo zucchero e l’anice stellato.
Attendiamo sette giorni.
A questo punto non vi resta che filtrare di nuovo e riporre il vostro vermut in una bottiglia di vetro.
Conservatela in frigorifero per evitare problemi di fermentazione.
10 modi in cui gli assorbenti possono salvarvi nella giungla
Se siete dei veri uomini, al vostro kit di sopravvivenza per la giungla non può mancare un oggetto indispensabile: una scatola di assorbenti interni. L’avventuriero Creek Stewart ha esaminato, nel suo blog dedicato ai “veri duri”, 10 modi in cui gli assorbenti possono risolvere molte situazioni nel caso si debba affrontare la foresta o la giungla.
1. Bendaggio di emergenza
2. Filtro per l’acqua
3. Innesco per il fuoco
4. Cannuccia filtrante
5. Stoppino per una candela fatta a mano
6. Corda
7. Impennaggio per frecce
8. Tubo di soffiaggio per scavare contenitori
9. Custodia impermeabile per i fiammiferi
10. Galleggiante per la pesca
Sopravvivere: istruzioni per costruire arco e frecce
Quando può servire un arco
Partiamo dicendo subito che l’arco è un’arma e va usato con senno. In ipotetiche situazioni di sopravvivenza potrebbe rivelarsi molto utile. In situazioni estreme, la possibilità di colpire a distanza può essere un importante ausilio alla caccia di selvaggina o, in acque basse, alla cattura di pesci (meglio evitare gli animali pericolosi ma soprattutto in nessun caso si deve puntare una freccia verso un’altra persona).
Detto questo si deve sottolineare un’altra cosa: perchè un arco abbia una qualche utilità di caccia è necessaria la compresenza di due (banalissimi) fattori: il primo è che arco e frecce siano solidi/equilibrati e il secondo, altrettanto importante, è che dietro corda e legno stia un arciere almeno vagamente capace.
Premettiamo inoltre che, in questa trattazione, non esporremo dettagli e finiture (come finestra, sguscio, ricurvo, ecc.), ci limiteremo a produrre un arco “di fortuna”, la cui gittata e precisione non deve essere in alcun modo paragonata ad uno strumento professionale (probabilmente il massimo che si potrà ottenere sarà un tiro valido non oltre i 10-14m).
La materia prima
Per quanto la costruzione di un arco possa sembrare “semplice”, è di grande importanza prestare attenzione a tutte le fasi (dalla scelta del materiale, alla sua lavorazione fino alla taratura); vediamo cosa ci serve per iniziare:
Legno per l’arco – E’ necessario trovare un solido e uniforme ramo di nocciolo, leggermente flessibile ed elastico (i migliore sarebbero tasso ed osage ma vanno bene anche robinia, sambuco, frassino, quercia o salice); per quanto riguarda la lunghezza cerchiamo di stare almeno attorno ai 160-170cm, per il diametro 3-4cm (senza corteccia).
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Legno per le frecce – Il legno per le frecce deve essere di diametro inferiore (1/3 dell’arco, circa 1-1,5cm), rigido e regolare; il dardo deve essere perfettamente dritto per fendere bene l’aria e mantenere la traiettoria.
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Corda – La corda occorre che sia allo stesso tempo resistente e leggermente elastica; in passato veniva prediletto il tendine di bue, oggi si usano filamenti di lino o dacron; in loro assenza l’ideale è uno spago o una robusta cordicella ottenuta con materiale di recupero (come costruire una corda).
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Alternative – Se non si è in grado di trovare un legno sufficientemente lungo è possibile unirne due all’altezza dell’impugnatura (o a incastro o legandoli in modo perfettamente saldo, la mano stessa farà da ulteriore elemento fissante); non è inoltre esclusa la possibilità di creare uno strumento più corto; in teoria un arco più lungo dà maggiore stabilità, uno corto è più veloce.
Come costruire l’arco
Per mettere insieme un arco è necessario parecchio tempo, calma e pazienza; un lavoro frettoloso può risolversi in un risultato poco efficace o di scarsa durata. Vediamo quindi come adattare le parti che abbiamo racimolato precedentemente:
Spianare il legno – Per prima cosa occorre rimuovere la corteccia dal ramo con un coltello (o una pietra affilata) in maniera tale da renderne la superficie più omogenea e liscia possibile.
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Modellare l’arco – Dobbiamo dare al bastone la forma di arco mantenendo più spessa l’impugnatura e assottigliando leggermente i due “bracci” in spessore (fig.1); tentiamo di assecondare le nervature e i nodi che il legno presenta, prevedendo la risposta agli stimoli, ricordiamo che l’arco deve potersi flettere ma non spezzare.
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Le estremità dell’arco – Le due estremità del bastone devono essere a punta (non affilata); su ciascun lato deve essere poi ricavata un’incisione a uncino o un buco, o ancora due tacche laterali in modo tale da impedire alla corda di uscire.
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Preparare la corda – La corda deve essere tesa, occorre stabilirne una lunghezza che la mantenga costantemente tirata (non deve essere applicabile se il legno non è compresso); per fissare la corda al legno occorre flettere l’arco (da in piedi); il modo migliore di legare la corda è fare un cappio su entrambi i lati che si fissi alle tacche laterali (imparare a fare i nodi).
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L’equilibratura – Un buon arco a curvatura semplice deve essere il più possibile simmetrico, sia sotto il punto di vista delle forme, sia da quello del peso; procediamo delicatamente perciò ad eliminare le differenze di forma, curvatura e peso dei due “bracci” dell’arco; ad ogni modifica proviamolo.
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Fasciature – Può essere comodo segnalare il punto in cui afferrare la corda (a metà) con un laccetto e/o fasciare l’impugnatura con qualcosa che impedisca alla nostra mano di scivolare durante il tiro.
Come costruire le frecce
I dardi rappresentano una parte determinante del lavoro, se il questi non rientrano in determinati canoni tutto l’insieme perde di efficacia. Vediamo come realizzarne in modo sufficientemente intelligente:
Caratteristiche – Le frecce devono essere rigide, compatte, non troppo leggere, cilindriche e, per quanto possibile, senza ondulazioni; ogni irregolarità devierà il nostro tiro e ne disperderà la potenza.
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Lunghezza – La lunghezza deve essere superiore a quella che passa tra quello che è il nostro mento e il nostro pugno quando abbiamo il braccio teso per tirare.
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Il fondo – Il fondo della freccia deve avere una piccola scanalatura centrale che ci servirà ad appoggiarla sulla corda del nostro arco e a no farla scivolare; non applichiamo le piume troppo vicino al fondo o non avremo modo di impugnare la freccia.
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Le piume – Occorrono due o quattro piccole piume (di uccelli, galline, ecc.) rigide per freccia; per applicarle è sufficiente praticare dei tagli che non deformino il dardo; queste vanno poi incastrate simmetricamente nelle fessure.
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La punta – Per ottenere una buona punta l’ideale sarebbe impiegare del metallo ma essendo una situazione di sopravvivenza ci limitiamo ad affilare con dovizia una delle estremità del bastoncino; più la punta sarà affilata e dritta più il dardo sarà efficace.
Conclusioni
Quello che si propone è un tipico arco primitivo “di fortuna” (vagamente simile ad un flatbow simmetrico), non essendo però stagionato/trattato avrà una durata limitata nel tempo e non essendo rifinito non garantirà una precisione di tiro eccellente. All’occorrenza potrà tuttavia servire degnamente al suo scopo. A completare il lavoro mancano solamente tre cose basilari: una faretra (per trasportare le frecce), un bracciale protettivo (per evitare il contraccolpo sull’avambraccio) e l’abilità di tiratore (ottenibile solo con l’esercizio).
fonte:arcadiaclub
PIANTE OFFICINALI: EQUISETO E FARFARACCIO
Equiseto (Coda cavallina): nome
Equisetum arvense – Equisetacee
Equiseto: proprietà
I principi attivi presenti nell’equiseto sono: silice (il 10% passa come acido silicico nelle tisane), calcio, magnesio, potassio, saponina (equisetonina), glucosidi flavonici, piccole quantità di alcaloidi e tannini. Per la presenza di questi sali minerali, in una forma molecolare altamente disponibile per il nostro organismo, l’equiseto contribuisce al “metabolismo dell’osso” e favorisce la remineralizzazione del sistema osteo-articolare e dei tessuti duri come unghie e capelli. La sua assunzione è quindi indicata in caso di fragilità delle unghie, perdita dei capelli, alopecia, osteoporosi, accrescimento scheletrico degli adolescenti, postumi di fratture, artrosi (grazie all’azione che esercita sia sulla cartilagine articolare, sia sul tessuto osseo) e le tendiniti (migliora l’elasticità dei tendini).
L’equiseto, o coda cavallina, è inoltre diuretico per cui è consigliato nel trattamento dell’eliminazione di scorie metaboliche. Inoltre è capilloprotettore per la sua azione astringente sui vasi sanguigni, utile contro la fragilità capillare. La proprietà cicatrizzante lo rende un ottimo riparatore tissutale e quindi è impiegato in campo cosmetico nella preparazione di prodotti contro smagliature, rughe e cellulite.
Equiseto: descrizione
Curiosa felce con fusto (50 cm) sterile (privo di fiori e semi), dotato di cloroplasti di colore verde, rigato, con stami verticillati. La moltiplicazione è assicurata dalle spore emesse da un secondo tipo di fusto (20 cm), di colore grigio perché privo di clorofilla, che compare alla base della pianta in primavera, ed è privo di cloroplasti, con uno strobilo alla sommità. Alla caduta delle spore, lo strobilo scompare e il fusto fertile diviene simile a quello sterile.
Equiseto: habitat
É tra gli organismi più antichi della terra, l’appellativo “arvense” denota la sua presenza in zone campestri, ed effettivamente non è infrequente trovarlo su terreni incolti umidi o lungo i fossati; ma anche lungo le scarpate, ambienti ruderali, e terreni sabbiosi e argillosi.
Equiseto: cenni storici
Il nome equisetum significa propriamente “coda o crine di cavallo” ed è stata utilizzata a scopo terapeutico, sin dall’antichità romana e greca. L’equiseto è conosciuto anche come “argilla vegetale” proprio per la composizione minerale e le sue proprietà.
Equiseto: ricetta
INFUSO: 1 cucchiaio raso di equiseto sommità, 1 tazza d’acqua
Versare la pianta nell’acqua fredda, accendere il fuoco e portare a ebollizione. Far bollire qualche minuto e spegnere il fuoco. Coprire e lasciare in infusione per 10 min. Filtrare l’infuso e berlo lontano dai i pasti per usufruire della sua azione remineralizzante e diuretica.
IL FARFARACCIO
Cos’è
Il farfaraccio è una pianta erbacea perenne originaria delle aree a clima temperato freddo. Annovera diverse specie e appartiene alla famiglia delle Compositae o Asteraceae. Il nome botanico è Petasites per via delle grandi foglie a forma di cuore che richiamano quelle di un grande cappello. Questa pianta era conosciuta fin dai tempi dell’antica Roma, dove i botanici di allora la usavano ai tempi di Nerone attribuendogli lo stesso nome. Le specie sono molto varie e per questo variano anche i loro nomi, tra cui troviamo il Tussilago petasites hybridus o Tussilago farfara o farfaraccio comune, il Petasites pyrenaicus e il farfaraccio bianco ( Petasite bianca). Questa pianta si sviluppa nelle zone montane e boscose, in luoghi freschi e ombreggiati, ma anche vicino alle sorgenti dei fiumi. In base alla specie può fiorire all’inizio o alla fine della primavera, da marzo a maggio, anche se alcune varietà si sviluppano a gennaio. In Italia cresce nelle zone alpine, specie la varietà petasite bianca. Il farfaraccio è conosciuto anche come bàrdano domestico, erba per la tegna, lampazzo, petrasita, barbaz, tossilagine maggiore, barde e lavassa. Si presenta con un fusto alto fino a 120 centimetri con foglie che nascono dopo la fioritura. Il farfaraccio è un tubero cioè le gemme sono sottoterra dove si trovano i rizomi e le radici. I fiori hanno una classica forma a campanaccio di colore giallo, bianco e rosa violetto. Il frutto ha la caratteristica di ricoprirsi della classica peluria detta “pappo”.
Proprietà
Il farfaraccio è una pianta dalle riconosciute proprietà officinali. L’erboristeria tradizionale usava gli estratti di farfaraccio per curare la tosse, l’asma e la rinite allergica. La tradizione popolare usa il farfaraccio anche per curare i disturbi del tratto uro-genitale, gastrointestinale, la colecisti e l’emicrania. Sembra che gli estratti di farfaraccio abbiano anche proprietà spasmolitiche., cioè inibenti gli spasmi della muscolatura liscia, infatti si usano per alleviare i dolori mestruali. Le benefiche proprietà del farfaraccio si devono ai suoi componenti principali, quali etasina e isopetasina. Si tratta di due sostanze con un forte potere vasodilatatore che permette di ridurre i fastidi dell’emicrania, inibendo il rilascio delle sostanze che scatenano il mal di testa. Gli estratti della pianta inibiscono anche il rilascio di istamina, la sostanza responsabile dell’infiammazione alla base della congestione nasale e della rinite allergica. Essendo anche emollienti, i principi attivi del farfaraccio favoriscono anche l’espettorazione, calmando il sintomo della tosse. Altri usi della pianta si riferiscono alla sua attività contro l’eccitazione nervosa e l’insonnia. Tra i suoi principi attivi ricordiamo anche: prodotti a base di zolfo, alcaloidi, flavonoidi, sali minerali e inulina. Proprio per la presenza degli alcaloidi, l’uso di estratti di farfaraccio è sconsigliato a chi soffre di problemi epatici.
RICONOSCERE GLI ALBERI: IL CERRO, Quercus cerris
Nome scientifico: Quercus cerris
Tipologia: Albero a foglie caduche
Potere calorifico: n/a
Descrizione: come riconoscere la pianta
Il cerro è una pianta proveniente dall’Europa sud-orientale e dall’Asia Minore, ma diffusasi abbondantemente su tutto la catena appenninica. Questo albero raggiunge un’altezza di 35 metri ed è dotato di chioma ovale, allungata e piuttosto compatta; la sua corteccia è di un grigio cenere, fessurata nelle piante adulte e in genere dura e spugnosa. Le ghiande di circa due centimetri sono poste sui rami dell’anno passato e hanno un colore bruno tendente al rosso, con striature longitudinali. Si distingue con facilità per le sue ghiande caratteristiche.
Cosa può fare e come utilizzarla
Legno poco pregiato rispetto a quello di altre querce viene usato per lo più come combustibile. Le sue caratteristiche lo rendono adatto all’uso per le traverse ferroviarie, dopo l’impregnatura.
Più da vicino…